LE RIFORME DI FERDINANDO I DI BORBONE: L’espulsione dei Gesuiti, il riformismo agrario e la creazione della “scuola pubblica”

il simbolo dell’ordine

La stagione delle riforme nei regni di Napoli e Sicilia era già iniziata con Carlo di Borbone (colui che aveva riportato all’indipendenza questi territori, logori dai duecento anni di viceregno) e stava continuando con Ferdinando I, in termini di sostanziale continuità.

LA FIGURA DI BERNARDO TANUCCI

Il personaggio di maggior spessore intellettuale, destinato ad emergere tra i dirigenti ed a diventare il riferimento politico di gran lunga più autorevole del periodo è, d’altra parte, un uomo che re Carlo aveva voluto con sé sin dal 1734 (anno della sua incoronazione a re di Napoli), Bernardo Tanucci. Lavoratore instancabile, esperto di diritto ed economia, aveva da poco superato i sessant’anni ed era nel pieno della sua maturità politica. L’indirizzo intrapreso dal Tanucci era quello di accentrare il potere statale, diminuendo quello baronale ed ecclesiastico (eredità del viceregno).

Bernardo Tanucci (1698-1783)

IL PROVVEDIMENTO

Uno dei provvedimenti più clamorosi presi dal Tanucci riguarda l’espulsione della “compagnia del Gesù” ed il conseguente scontro con la chiesa. Questo provvedimento era al passo col tempo e con le grandi monarchie europee, prima del regno di Ferdinando I solo il Portogallo (1759), la Francia (1762), e la Spagna (1767) erano riuscite nell’intento. L’illustre politico considerava, infatti, quest’istituzione tra le più nefaste per l’autorità dello stato: <<Essi sono la peste de li Stati e li pubblici predatori di massime infernali contro le finanze dei sovrani e contro la regalia>>, scrive in una lettera. Il provvedimento fu preparato con relativa segretezza nell’autunno del 1767 ed il 3 novembre viene sottoposto alla firma del re, che nel frattempo aveva raggiunto la maggiore età.

LE CONSEGUENZE

Nonostante le proteste di papa Clemente XIII, i funzionari del regno sono implacabili nell’eseguire l’editto: 667 gesuiti della provincia napoletana e 775 della Sicilia sono costretti ad imbarcarsi verso lo Stato Pontificio; lo stesso precettore e confessore del re, il padre boemo Cardel, viene accompagnato al confine. Si tratta, dunque, di un’azione di forza con la quale Tanucci intende colpire uno dei pilastri del potere ecclesiastico nel regno.

Ferdinando I, nei primi anni di regno

LA CONFISCA DEI BENI ED IL RIFORMISMO AGRARIO

La cacciata è seguita anche dalla confisca dei beni della compagnia. Il patrimonio dei gesuiti comprendeva vaste estensioni di terra (soprattutto in Sicilia), collegi, seminari, residenze, oltre ad un considerevole capitale liquido. Secondo i calcoli dello stesso Tanucci, l’operazione frutta al regno quasi 6.000.000 di ducati, il che significa <<accrescere le entrate di quasi un terzo>>. L’esproprio delle terre apre la strada a provvedimenti di riformismo agrario. Attraverso una politica sociale che si richiama all’insegnamento di Antonio Genovesi, il governo ripartisce in quote le proprietà confiscate e le mette all’asta: vengono in questo modo assegnati, con contratti di enfiteusi, oltre 45.000 ettari di terreno e a beneficiarne è il ceto medio-agrario, ovvero la fascia sociale più propulsiva. Un’altra parte di queste terre viene invece data in piccoli appezzamenti a contadini poveri: 3000 famiglie (quasi tutte siciliane), hanno così di che lavorare e mantenersi.

La chiesa del “Gesù Nuovo” (simbolo della grandezza raggiunta dai Gesuiti nella capitale), con l’omonima piazza. (“illustrazione del Parrino” 1700)

L’ISTRUZIONE PUBBLICA

L’espulsione della compagnia allarga ulteriormente il campo dell’impulso riformatore perché pone il problema dell’istruzione, allora monopolio gesuitico. L’intento del Tanucci è l’introduzione di un inedito sistema di istruzione pubblica.  Già nel dicembre del 1767, il re Ferdinando I ordina con un dispaccio che <<si provveda immediatamente nelle terre ove i Gesuiti hanno scuole di grammatica>>, utilizzando ecclesiastici regolari e maestri laici. Negli anni successivi le disposizioni si precisano e ne nasce un ordinamento a due livelli: abbiamo le  <<scuole minori>> istituite in tutte le città ed i centri già sedi di collegi gesuitici, con programmi elementari (catechismo, lettura e scrittura, aritmetica); e le <<scuole maggiori>>, presenti nelle città capoluogo di provincia ed aventi programmi liceali (teologia, greco, latino, matematica, filosofia, storia sacra e profana). Oltre a questi due livelli vengono creati a Napoli la “Casa del Salvatore”, dove prevale l’insegnamento scientifico (fisica sperimentale, astronomia, trigonometria) e a Sorrento un istituto per orfani di marinai con funzioni di scuola nautica. Molti docenti sono ecclesiastici, ma lo stato interviene con disposizioni didattiche e pedagogiche, forte di un investimento che nel solo anno scolastico 1770-71 raggiunge i 70.000 ducati. Già nel primo periodo di Ferdinando I, dunque, si delinea un sistema di istruzione pubblica gratuita, senza discriminazione di ceto, e presente in tutti i luoghi in cui erano presenti le scuole gesuitiche, e quindi in tutte le province del regno.