L’INDUSTRIA NEL PERIODO BORBONICO

L’industrializzazione meridionale nel periodo preunitario è uno degli argomenti più discussi negli ultimi anni. Se fino a pochi anni fa la risposta era una sola, ovviamente negativa, attualmente l’argomento è stato rivalutato.

Il settore industriale nel Meridione, avviato inizialmente dalle politiche di Gioacchino Murat volte all’ammodernamento dello stato, ebbe un forte impulso durante la seconda restaurazione borbonica, in particolar modo con Ferdinando II che, attraverso una maggior industrializzazione, voleva rendere il suo stato più indipendente dall’influenza delle potenze dell’epoca (Francia e Impero Britannico).

stabilimento industriale di Piedimonte Matese

A tale scopo venne adottata una politica di incoraggiamento all’industrializzazione tramite investimenti fatti dalla corona che importava maestranze e macchinari dall’estero al fine di istruire gli operai e di applicare in patria le tecniche produttive più all’avanguardia sviluppate all’estero. Con questo obiettivo nasce il “Real Istituto D’incoraggiamento di Napoli”.

I Borbone adottarono una politica protezionistica, per salvaguardare la produzione del regno, ed inoltre favorirono l’afflusso di capitali dall’estero. Venne così creata una nascente industria che si concentrava soprattutto attorno alla capitale, ma che si estese anche in “Terra di Lavoro “ (attuale provincia di Caserta con parte delle province di Latina, Frosinone e Benevento), in Calabria e nelle Puglie, anche se negli ultimi decenni del regno alcune realtà industriali sorsero gradualmente nelle altre province (fino al brusco arresto decretato dall’unità nazionale). In Sicilia era presente da secoli l’industria mineraria per l’estrazione e la lavorazione dello zolfo, e dal 1840 con Vincenzo Florio abbiamo la prima delle iniziative industriali nei settori siderurgici e dei trasporti (società dei battelli a vapore siciliani). È da sottolineare il fatto che il settore industriale in questo periodo era ancora in via di sviluppo e ovviamente non è paragonabile con le industrie che sorgeranno nel “triangolo industriale” (Torino, Milano, Genova) sorto negli anni immediatamente successivi alla proclamazione del neonato stato italiano.

Le cause dello smantellamento dell’industria meridionale

Con l’unità d’Italia cessò il supporto dato dallo stato alla nascente classe borghese e imprenditoriale meridionale, in quanto lo stato sabaudo si concentrò al recupero delle spese di guerra tramite una tassazione selvaggia (reintroduzione dell’imposta sul macinato, prima abolita dai Borbone) che non teneva conto delle conseguenze sociali della stessa. Il settore industriale non era ancora in grado di sostenersi autonomamente e dipendeva dai finanziamenti dello stato napoletano che non vennero rinnovati dopo l’unificazione. Inoltre vennero fatte numerose scelte a favore del settentrione, basti pensare al caso di Pietrarsa (centro di produzione siderurgica) che venne data in affitto con il conseguente licenziamento di numerosi operai e così favorendo l’opificio di Sampierdarena in Liguria. Una sorte peggiore ebbero altre industrie più o meno importanti di quest’ultima che scomparirono completamente e furono addirittura rase al suolo (Mongiana, Ferdinandea ecc.).

Ruderi delle industrie di Mongiana in Calabria